Negli ultimi 20 anni è incrementato il divario tra Nord-Sud. Sono gli effetti dovuti a scelte di politica economica che hanno condizionato lo sviluppo del Paese, anche grazie, negli ultimi decenni, ai condizionamenti che la Lega Nord ha determinato sui governi di destra e di sinistra coi quali ha banchettato, soprattutto distogliendo risorse dal Sud per investirle nel già ricco Nord Italia.
Il ritardo economico accumulato negli ultimi anni dal Sud Italia, col peggioramento della qualità della vita, è leggibile nell’ultimo rapporto Svimez, sviscerato in questi giorni dai candidati alla Camera, Gianluca Rospi e Mirella Liuzzi, negli incontri tematici fatti con i cittadini lucani in campagna elettorale.
In termini pro capite, gli investimenti in opere pubbliche nel 1970 erano pari a livello nazionale a 529,6 euro, con il Centro-Nord a 450,8 e il Mezzogiorno a 673,2 euro. Nel 2016 si è passati a 231 euro a livello nazionale, con il Centro-Nord a 296 e il Mezzogiorno a meno di 107 euro pro capite. In pochi decenni, invertita dunque la tendenza di investimento (dal primo a terzo posto) e persi 350 euro pro capite nel Sud.
Si è vero, sono cresciuti gli occupati al Sud, ma solo quelli a basso reddito, quelli che non avranno mai un mutuo dalle banche e che non potranno mai lasciare la casa o gli aiuti della famiglia di origine.
Sull’onda della legge “Jobs Act”, che ha di fatto abolito lo Statuto dei lavoratori, legge approvata dal governo Renzi in questa legislatura appena terminata, l’occupazione a baso reddito potrebbe ancora crescere, rendendo “epidemicamente” sempre più precario il lavoro nel Sud Italia.
Il rischio è di esporre il lavoratore a una sempre più pericolosa possibilità di soggezione e di ricatto occupazionale, metodi di controllo del consenso ampiamente utilizzati dai vecchi partiti italiani, Lega compresa. A maggior ragione se si si osserva che il tasso di occupazione nel Mezzogiorno (47%) è ancora molto lontano da quello registrato nel Centro-Nord (69%) e soprattutto dalla media europea.
Alla fine del 2016, il Mezzogiorno ha perso altri 62 mila abitanti, contribuendo ancora una volta a una trasformazione demografica importante che ha “invecchiato” e impoverito il Mezzogiorno: il doppio, rispetto al 2006, raggiungendo quasi quota 2000.
Il contributo della Basilicata allo spopolamento e invecchiamento è di 30mila lucani in 16 anni, il tutto, aggravato, da un tasso di natalità che nel 2015 è stato tra i più bassi d’Italia (7,2 per mille).
Di questo passo daremo ragione all’Istat, secondo le cui proiezioni, nel 2030, la popolazione scenderà a meno di 480mila. Vale a dire ai livelli del 1800. Due secoli fa.
Sparirà San Paolo Albanese, che in dieci anni ha perso metà della popolazione attestandosi a 270 abitanti, il 70 per cento dei quali over 60. I soli due matrimoni celebrati nel 2017, non lasceranno traccia: le coppie hanno già fatto fagotto alla ricerca di un futuro per i propri figli.
Mai come oggi, alla Basilicata serve capire le responsabilità politiche e serve innovare, investendo soprattutto sui lucani e non più sulle oligarchie di sistema. A fronte dei partiti che hanno spopolato e spolpato la Basilicata, oggi, solo il voto utile al M5S può rappresentare una svolta per il Paese, per il Sud e per la Basilicata. Perché è l’unica forza politica che non ha lobby di riferimento, che vuole una banca pubblica, separerà la banca d’affari da quelle di credito, investirà su famiglie, imprese, coerenza e credibilità.
Mirella Liuzzi, candidata M5S alla Camera, plurinominale
Gianluca Rospi, candidato M5S alla Camera, uninominale
PARTECIPA. SCEGLI. CAMBIA.