13 Giugno 2018

FINTECH, PAGAMENTI E RISPOSTE REGOLATORIE

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Di seguito il mio intervento al “Digital & Payment Summit” che si è tenuto il 12 giugno 2018 presso l’Auditorium Antonianum di Roma.

Ringrazio e mi congratulo con gli organizzatori di questa bella giornata, in particolare con il Presidente Pimpinella vero animatore nel mondo dei pagamenti digitali. Iniziativa che consente un’interlocuzione tra operatori e istituzioni e rappresenta un’occasione di approfondimento su un settore centrale nelle dinamiche dell’innovazione nel nostro Paese.

E’ proprio dal settore dei pagamenti, infatti, che si sono registrate a livello globale, e quindi anche in Italia, delle significative discontinuità tecnologiche, dagli ATM, alle carte di credito allo scenario che gli operatori stanno creando in un mercato dei pagamenti sempre più digitale e connesso.

In questo contesto ci troviamo di fronte ad una grande opportunità abilitata da quella che sarà la piena applicazione della seconda direttiva sui pagamenti (PSD2) che, come noto, determinerà l’irrompere nel mercato dei pagamenti di nuovi attori e nuovi servizi. Nel Regno Unito, seppur con qualche difficoltà iniziale, stanno già sperimentando i servizi forniti dagli AISP (Account Information Service Provider) e dai PISP (Payment Initiation Service Provider) e osserviamo un mercato che cambia pelle, con startup pronte a entrare nel mercato, gli operatori tradizionali che si attrezzano per non perdere quote di mercato e assicurare ai propri utenti un’esperienza quanto più digitale possibile e le big tech che al momento stanno alla finestra ma che sperimentano soluzioni che aprano il mercato anche a loro facendo leva sulla vastissima disponibilità di dati di cui dispongono. Ciò che sta avvenendo in Cina e in generale nel sud est asiatico dovrebbe far pensare alla direzione che potrebbe prendere il mercato. Sullo sfondo ci sono tante questioni di natura regolamentare che sono state affrontate e altre che andranno risolte sul terreno concorrenziale, della sicurezza dei pagamenti, della tutela dei consumatori e della riservatezza dei dati personali di questi ultimi.

E poi abbiamo la Blockchain che come sostenuto dal Parlamento europeo in uno studio dello scorso anno è destinata a cambiare le nostre vite, a cambiare il modo nel quale ci relazioniamo nella nostra vita economica e non solo e che vede nel settore dei pagamenti uno dei settori di più ampia applicazione. Pensiamo agli scenari abilitati dall’Internet of Things nei quali con la comunicazione macchina-macchina si dovranno elaborare strumenti tecnologici e infrastrutture giuridiche idonee a consentire i pagamenti tra macchine per semplificare e migliorare le nostre vite e in questo ambito la Blockchain o meglio le blockchain possono giocare un ruolo determinante.

Ma cosa può fare la politica per favorire o quantomeno non ostacolare questo settore in crescita? Anzitutto ripartire con l’idea della cashless society segnando una discontinuità con le esperienze dei governi precedenti. Occorre abbassare il limite dei contanti per scoraggiare l’uso del contante dietro al quale si nascondono troppo spesso fenomeni illeciti (dall’economia sommersa, alla corruzione, etc) e insieme migliorare l’apparato normativo esistente per rendere conveniente l’utilizzo di strumenti di pagamento digitali.

E’ notizia di queste settimane l’annullamento da parte del Consiglio di Stato dello schema di regolamento adottato dal MISE di concerto con il MEF che disponeva una sanzione pecuniaria, seppur molto bassa, a carico degli esercenti che rifiutassero di accettare pagamenti con POS. Una decisione ineccepibile sul piano tecnico – per inciso la soluzione elaborata appariva infatti frutto di assoluta improvvisazione normativa – ma che ripropone l’esigenza di creare un sistema anche sanzionatorio che possa promuovere l’utilizzo di sistemi di pagamento digitali. Ed è dagli operatori e dalle loro proposte che dobbiamo partire nel quadro delle regole che ci siamo dati a livello UE.

La Blockchain può essere una grande opportunità ma dobbiamo essere preparati a coglierla e il nostro governo ha il dovere di invertire una tendenza di pericolosa indifferenza verso le potenzialità di questa tecnologia. Dobbiamo intervenire su tre livelli.

Un livello istituzionale: è inaccettabile che l’Italia non sia tra i 22 paesi membri costituenti della Blockchain Partnership. Una delle prime azioni del governo del cambiamento dovrà essere la partecipazione a questa alleanza internazionale nell’ambito della quale le eccellenze tecnologiche italiane possono e devono essere una forza trainante.

Un livello legislativo: dobbiamo pervenire ad un riconoscimento giuridico della Blockchain che favorisca lo sviluppo di questa tecnologia e la renda rilevante nel rapporto cittadini-pubblici poteri. E’ importante, al contempo, avviare azioni positive nei confronti delle startup, e non solo, che sperimentano l’applicazione di questa tecnologia in vari ambiti pensando a interventi di stimolo fiscale, sul modello del patent box, e favorendo la ricerca, anche pubblica, in questo settore.

Un livello applicativo: è, infine, necessario sperimentare l’applicazione della Blockchain. Nella città di Torino, grazie all’amministrazione a 5 stelle, si sta avviando un percorso virtuoso in questo ambito, percorso che può e deve essere portato su scala nazionale.
Ma la politica può fare e deve fare molto di più guardando, in particolare, al mondo delle startup che noi vorremmo fossero sempre più scaleup e sempre più globali. Il Fintech nel suo complesso e il Paytech, in particolare, possono giovarsi di una rinnovata attenzione della politica nei confronti di questo fenomeno. Nel contratto di governo abbiamo inserito la banca degli investimenti che fungerà da traino e da stimolo per il venture capital nel nostro Paese guardando alle piccole e medie imprese. In questa direzione anche iniziative legislative possono essere di aiuto.

Mi chiedo, senza alcuna vena di nazionalismo ma animata da semplice buon senso, ma è possibile che il nostro Paese sia terra di conquista per operatori tecnologici stranieri che trovano clienti e fatturato qui mentre le nostre startup, soprattutto nel settore Fintech, sono portate, se non costrette, ad avviare le proprie attività in altri paesi con il Regno Unito dove trovano un ecosistema, anche con riferimento all’approccio delle autorità di vigilanza, più favorevole all’innovazione? Non facciamo nomi ma gli esempi li abbiamo tutti sotto gli occhi: startup create da italiani che hanno ricevuto finanziamenti da italiani, che propongono prevalentemente in Italia i propri servizi e che per operare hanno chiesto un’autorizzazione all’FCA inglese.

C’è un modo per invertire questa tendenza e far partire dall’Italia le nostre startup in modo che siano nelle condizioni di competere ad armi pari nello scenario globale? Forse, e lo dico con l’intento di avviare una riflessione su questo tema amplissimo e che non si può ridurre nei pochi minuti di questo intervento che volge al termine, strumenti come il regulatory sandbox sperimentato in altri paesi e in qualche modo inserito nel piano di azione Fintech della Commissione Europea possono dare una prima risposta a questa esigenza. Anche il neopresidente della Consob Mario Nava nel presentare ieri la relazione annuale ha posto un’attenzione particolare al tema dell’attrattività del nostro sistema parlando di alcune azioni come l’adozione di un approccio data-driven, le società quotate digitali, utilizzo dell’inglese e la semplificazione di alcune procedure autorizzatorie che sembrano andare nella giusta direzione.

In questo senso una funzione di stimolo deve venire anche dagli operatori in un dialogo che auspico virtuoso tra operatori, legislatore, governo e autorità di regolazione che anche occasioni come la giornata odierna contribuiscono a favorire.


Il video integrale dell’intervento: